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Non ne sono un grande
frequentatore, anzi, ci vado di rado, e sempre meno, evitando i momenti
della settimana e dell’anno definiti di punta. Ci vado per godere la
pace dei morti, e ascoltare il rosario dei verzellini nascosti nei
cipressi. Ordine e serenità, anche se qualche volta mi è capitato di
vedere vecchi monumenti funebri spaccati, a volte sprofondati. Sono
“antichi”, non ci sono più parenti che li curano.
A volte anche i campi dei morti che vanno sotto terra li ho visti
trasformati in campi di battaglia: buche, croci divelte, lapidi cadute;
capita quando piove abbondantemente, la terra assorbe e poi cede. C’è
chi lo fa per scelta a voler andare sotto terra, pochi, gli altri, sono
costretti, ma forse non ne soffrono, sono abituati, è un perpetuare
situazioni già avute in vita. E dicono che la morte appiana tutto!
E’ forte nei foggiani il culto dei morti, se ne fanno una fissa, una
questione d’onore e di prestigio, e fanno per loro quello, che se mai,
non hanno fatto in vita. Gli costruiscono una città, a immagine e
somiglianza di quella dei vivi, uguale, con tutte le storture e le
differenze, il nuovo che fagocita il vecchio, il vecchio che regge
ancora sullo stravecchio. Le stradine, i viali, le fontanelle, la
chiesa, le cappelle delle confraternite e le
cappelle-grattacielo-condominio, ogni ala poi un sottocondominio con
l’armadietto in plastica chiuso a catenaccio con dentro la scopa e il
secchio.
E poi i fiori, Io sono fermo ai crisantemi del due novembre ed ai cinque
garofani rossi che vedevo comprare a mia madre quando l’accompagnavo.
Ora gerbere, singapore, lilium
ed orchidee. Una sfida floreale, che si gioca sul metro dell’accuratezza
nel posizionarle nel portafiori attaccato alla lapide. L’ho visto io, ci
vogliono due persone, una posiziona i fiori, all’occorrenza utilizzando
una scala, l’altra si distanzia e dirige l’operazione: “Accorcia
quello!”, “Lì è rimasto vuoto”, “Bene così, fermo!.
Poi quello sulla scala fa: “Vai a prendere l’acqua”, “Vado” fa l’altro;
scende, riempie, risale, porge: “Ce ne vuole ancora!”, “Vado di nuovo”.
Di nuovo!!! E di nuovo
m’incazzo come la volta precedente, e quando potrò avere io ‘sta
benedetta scala? Perché mio padre è capitato all’ultima fila sopra,
sotto il soffitto, all’angolo, al buio, non una posizione comoda ad
altezza d’uomo, né “facciassole”.
E mentre quelli con spugnetta, straccio e vetril stanno completando il
maquillage della lapide, prima che sbotti in qualche imprecazione delle
mie, molto colorate e accalorate, facendo voltare i vivi e rivoltare i
morti, vado via in silenzio.
E l’erba cresce e continua a crescere nell’indifferenza dell’egoismo
individualistico ridotto alla cura di un po’ di centimetri quadrati di
marmo, un portafiori, una foto e qualche frase “metallica”.
Non a dire una volta: “Ueh, gente, mentre ci diciamo una posta di
rosario per i morti, oggi ripuliamo dalle erbacce ‘sto pezzetto, la
prossima un altro!”.
Manco a pensare di comprare la
metà dei fiori che di solito si acquistano e con la differenza
ingaggiare un po’ di “marocchini” e metterli a diserbare. I fiorai non
morirebbero di fame, il cimitero sarebbe pulito, si da una mano a chi ne
ha di bisogno, tamponiamo l’assenza istituzionale in assenza di tempi
migliori, e la critichiamo pure se mai, ma non come chi, cambiando posto
e situazione, lo fa di mestiere, senza collaborare, né suggerire, né
proporre ricette alternative.
Stiamo vedendo gruppi scout che ripuliscono una piazza-giardino, gente
comune che per scelta, necessità, impegno, la mattina si ripulisce il
proprio tratto di strada, gruppi di impegno cittadino che alternano tre
denunce ed una rimboccata di maniche. Quanto vorrei vedere una volta la
nostra rappresentanza comunale, altamente divisa e contrapposta,
cimentarsi in una gara civica, tipo quella della corsa dei ciucci o nei
sacchi di antica memoria, e gareggiare a chi pulisce più in fretta e
meglio due diverse strade, piazze o giardini. Tutti ne guadagneremmo di
salute. Anche per vedere se rispetto al poco e niente del presente, al
male che viene da lontano, ed all’incertezza del futuro, sono capaci di
altro.
Bisogna fare attenzione, ormai è da anni, che i primi cittadini che
amministrano e guidano questa città vanno a finire nella memoria storica
comune e ricordati come “quello dei marciapiedi e dei giardini”, “il
bell’Antonio col cellulare”, ed anche l’ultimo, come “quello con
secchiello ed il raschietto”, iniziò così, a ripulire la città dai
manifesti elettorali.
Esempio di un fare nuovo o
profezia!?
Il nostro cimitero cittadino che dovrebbe rappresentare una porta
sull’altro mondo, invece, non riesce a differenziarsi da quello che
viviamo: viavai di macchine lungo i viali interni, più la gente è
“acciongata” più ha desiderio di andare a trovare i morti non senza
essersi munita di biglietto di andata e ritorno, parcheggiatori-padroni
alla trullalero e privatizzazione della gestione.
Foggia 16 Lugio
2011
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